La MISSIONE
Questo testo vuole aiutare nell'attuazione della Ratio Formationis ed è una lettura dell'intero documento intenzionalmente con gli occhi della missione, cioè una ricerca di tutte le indicazioni che sono in qualche modo legate a questo importantissimo aspetto del nostro carisma. Con esso vogliamo offrire a chi si appresta a lavorare all'adattamento degli itinerari formativi delle circoscrizioni un richiamo all'attenzione affinché l'aspetto missionario abbia lo spazio e la forza che merita. D'altra parte, vuole offrire a tutti i frati una lettura di formazione permanente che stimoli lo spirito missionario con alcune spiegazioni di ciò che l'Ordine intende per missione cappuccina.
Un ordine missionario
La Ratio ci dice: "la dimensione missionaria è al cuore del nostro progetto: essere cappuccini significa essere disposti ad andare là dove nessuno vuole andare..." (RF 41). Cerchiamo di capire.
Fin
dall'inizio, quando non aveva altro che otto fratelli, Francesco d'Assisi aveva
già capito che a due a due dovevano andare in missione nelle quattro direzioni.
I primi fratelli volevano, dove passavano, con l'esempio e con la parola,
scuotere i cuori paralizzati o goffi attraverso un rinnovato incontro con
Cristo povero e crocifisso. Con semplicità hanno invitato tutti alla
conversione (penitenza). Poi Francesco voleva che i fratelli attraversassero le
Alpi e poi andassero tra i Saraceni. Infatti, “Francesco recupera il modello apostolico (itineranza, predicazione e
fraternità)” (RF 36).
Anche
i Cappuccini fin dall'inizio trovarono in una vita molto contemplativa la
spinta al servizio dei più bisognosi, poveri e appestati[1], e quando la Chiesa ne
aveva bisogno nelle missioni, senza paura, si gettarono dove gli altri non
volevano andare. Constatiamo che dall'inizio della nostra riforma c'era un
desiderio di missione, e questo è stato coltivato tra i fratelli. Già le
Costituzioni di Santa Eufemia (1536), al numero 143 insistono: "I ministri non prendano in considerazione lo
scarso numero dei frati, né si dolgano per la partenza dei buoni...".
Infatti siamo stati grandi collaboratori di Propaganda Fidei, e il suo
primo martire è proprio il nostro amato San Fedele di Sigmaringa. Siamo stati
presenti all'impianto della Chiesa in molte regioni difficili del pianeta.
Le
nostre attuali Costituzioni definiscono il nostro come un Ordine missionario e
tutti i fratelli devono in qualche modo vivere questo carisma: “Nella nostra Fraternità Apostolica, tutti
noi siamo chiamati a portare il lieto annunzio della salvezza a coloro che non
credono in Cristo, in qualunque continente o regione essi si trovano; perciò ci
riteniamo tutti missionari." (Cost. 176.1). Questo fa sì che sia così
necessario che durante tutto il processo di iniziazione alla nostra vita i
nostri candidati siano aiutati ad abbracciare con passione questo ideale,
poiché: “la missione occupa un posto
centrale nella storia dell’Ordine; tutte le tappe della formazione devono
averla nel proprio orizzonte.”(RF 122). La nostra formazione deve formarci
per la missione.
La
Ratio ci ricorda anche un motto che ha motivato tante generazioni di
fratelli e che ha dato ottimi risultati: “essere
cappuccino, missionario e santo” (RF 101). Nonostante i tempi siano
cambiati, questa proposta continua più che mai a esser valida e ha bisogno di
essere accettata da tutti coloro che vogliono abbracciare questa vita.
La nostra missione deve essere cappuccina
Se
questo è valido per tutti gli aspetti della sequela (relazioni, povertà,
preghiera, compassione ...) come la Ratio chiarisce, vale anche per la
missione. Dobbiamo "annunciare il
Vangelo con la forza del nostro carisma" (RF Proemio). La nostra
missione deve essere segnata dal nostro essere cappuccini, cioè se la nostra
missione è vissuta allo stesso modo di qualsiasi altra nella Chiesa (come un
sacerdote diocesano, o un laico consacrato, o un membro di qualsiasi altra congregazione)
qualcosa non funziona, anche se stiamo facendo molto. Dio e la Chiesa sperano
che la nostra evangelizzazione sia segnata e arricchita dal carisma che il
Signore ci ha affidato e di cui la Chiesa si fa custode (cf RF 59). È quindi
fondamentale "scoprire nella nostra
missione carismatica una via per collaborare alla costruzione di un mondo più
evangelico e fraterno " (RF 264).
Proponiamo
qui i quattro elementi fondamentali del nostro carisma: fraternità, minorità,
contemplazione e servizio ai poveri, cercando sempre di rispecchiare in essi la
missione. Come sappiamo, si implicano, si chiariscono e si sostengono a
vicenda. Il carisma è la fusione dei quattro elementi, e se uno manca o se uno
viene vissuto in modo insufficiente, è l'essere cappuccino che si deteriora,
sfuma e cessa di essere attraente.
* La fraternità
Ciò
significa che quando un candidato ci cerca, magari con tanti sogni
evangelizzatori e tanti progetti missionari, dalla pastorale vocazionale
dovrebbe essere chiaro che il nostro modo di farlo è in fraternità. Il nostro
Ordine non vuole essere una scuola per “missionari isolati”, anche se hanno
molti valori e doni e possono fare tanto bene alla Chiesa. Non ci servono
vocazioni eccellenti per la pastorale ma che non vogliono capire o assumere il
valore della fraternità. Non dimentichiamo che per noi “la fraternità è il luogo primo del nostro donarci” (RF 62). È
primaria nella nostra vita e questo deve essere chiaro fin dall'inizio.
Indubbiamente, l’essere fratelli è qualcosa che si impara, che si purifica e si
perfeziona strada facendo, ma è importante che il candidato mostri capacità e
interesse per esso[2].
Pertanto, “capacità relazionale,
l’apertura mentale, la tolleranza e la flessibilità sono elementi
imprescindibili della personalità di chi sceglie la vita fraterna.” (RF
104).
Per
essere autentici missionari cappuccini dobbiamo prima di tutto imparare da Gesù
Cristo ad essere fraterni, perché “a
Francesco fu rivelato che per poter vivere come Gesù sono imprescindibili i
fratelli” (RF 35). È necessario essere determinati ad accogliere, amare e
servire i fratelli che Dio mi dà come compagni di cammino. È vivere con loro,
non importa quanto siano diversi (per età, pensiero, cultura, doni e vizi),
l'esperienza di condividere la vita concreta di ogni giorno, con la sensibilità
di percepire i loro bisogni e la decisione di servirli come una madre (RgB 6,8), con un dialogo sincero e profondo che ci
espone con le nostre differenze, ma condito del perdono e della comprensione,
che saremo abilitati ad essere missionari cappuccini, poiché ciò che l'Ordine
si aspetta da ogni fratello è che sappia “evangelizzare
con la vita e la parola attraverso la testimonianza delle relazioni fraterne”(RF
191).
* La minorità
Allo
stesso modo, la nostra missione deve essere segnata dalla minorità. Le nostre “attività pastorali devono essere in linea
con la nostra vocazione di minori, allenandoci ad essere disposti ad andare
dove nessuno vuole andare” (RF An 1,28). Il frate minore deve anche essere
minore nei confronti del popolo che servirà nell'apostolato, non nascondendosi
dietro titoli o incarichi e non distinguendo chi è: peccatore o santo, malato o
sano, povero o ricco, ignorante o intellettuale, ateo o credente ... anche se
preferisce quelli che sono rimasti più indietro[3]. La minorità assunta nella
cura pastorale fa vivere davvero al fratello l'ideale del servizio, poiché sono
tanti quelli che hanno il titolo di servi, ma esigono di essere serviti in
tutto. Infatti “un frate minore si distingue per la sua vicinanza e
solidarietà con i poveri, per il suo apprezzamento e rispetto delle diverse
culture, lingue e religioni, per il suo impegno a favore della giustizia
sociale, della costruzione della pace e della cura ecologica del pianeta”(RF
124).
La
Ratio ci ricorda che nei Cappuccini questa minorità diventava molto visibile
nella "sobrietà con la ricerca
dell'essenziale" (RF 67). Questo deve essere presente anche nel nostro
ideale di missione. Il missionario cappuccino non dovrebbe essere colui che
pensa che per andare in missione debba avere una scorta di molti soldi, per
poter stare bene e costruire grandi strutture: imponenti conventi o colossali
opere di soccorso. L'autentica minorità è profondamente legata alla povertà,
alla fiducia nella provvidenza e all'impegno per una vita sobria. La sicurezza
economica, anche nella pastorale e nella missione, continua ad essere la grande
tentazione, che Francesco e la riforma cappuccina hanno respinto fermamente.
Abbiamo già detto sopra che la tentazione di fare grandi cose ci allontana
dalla minorità.
* La contemplazione
Ciò
significa che non solo nelle case di formazione ma in tutte le nostre
Fraternità i tempi e le modalità di preghiera e contemplazione devono essere
gelosamente promossi e preservati. Se il missionario cappuccino perde il suo
spirito contemplativo e orante, la missione ne risentirà, poiché la
contemplazione è lo “spazio
irrinunciabile nel quale i nostri occhi si caricano di misericordia” (RF 38).
Non possiamo assolutamente permetterci di pensare che una Fraternità fortemente
apostolica possa ridurre o spegnere i tempi di preghiera, meditazione e
contemplazione a causa delle tante opere pastorali, poiché ciò porterà questa
Fraternità alla rovina. "Senza
contemplazione non c'è fraternità" (RF 70).
Inoltre,
nella nostra missione, siamo invitati a condividere con gli altri fedeli questa
ricchezza del nostro carisma, come richiesto dalle nostre Costituzioni: “Perciò,impegniamoci
con zelo ad apprendere l’arte della preghiera e a trasmetterla agli altri” (Cost.
55,6 ). Dobbiamo quindi essere maestri di preghiera nella nostra pastorale,
introdurre il nostro popolo non solo alle preghiere tradizionali ma anche alla
contemplazione. Questo certamente trasformerà le persone perché: "chi si fa toccare dal silenzio si pone in
relazione più profonda con il mondo, si apre alla pace e vive in forma più
autentica" (RF 2). Perché ciò avvenga è assolutamente necessario che
nella formazione i nostri candidati imparino, esercitino, apprezzino,
interiorizzino e assumano (la contemplazione) come valore quotidiano, non solo
importante ma assolutamente necessario, perché alla fine dell'iniziazione alla
nostra vita devono essere maestri di preghiera, soprattutto contemplativa.
* La relazione con i poveri e con i
sofferenti
Tuttavia,
è molto importante sottolineare qualcosa su cui si insiste nella Ratio: abbiamo
bisogno dei lebbrosi, dei poveri, di coloro che soffrono, in primo luogo non per
servirli, ma per imparare da loro. Prima di essere coloro che li aiutano,
dobbiamo relazionarci con loro, in modo che ci aiutino a essere ciò che
vogliamo essere. Dobbiamo invertire la nostra concezione: non sono solo i
destinatari della nostra misericordia, al contrario, sono primariamente agenti
della nostra trasformazione. “Grazie ai
lebbrosi, Francesco comincia a conoscersi e sperimenta il significato della
gratitudine.” (RF 23). "In mezzo
ai lebbrosi, lontano da ogni falsa sicurezza, sorge l’autentica sicurezza
interiore" (RF 24). Per questo, nel nostro processo formativo deve
accadere la stessa cosa che è successa con Francesco, dobbiamo essere in
contatto con i poveri durante tutte le tappe della formazione. Dobbiamo
prendere coscienza che "i poveri
sono i nostri maestri" (RF 111; 174; Allegato 2,19). Per questo è
fondamentale prevedere nella formazione esperienze non solo di solidarietà con
loro, portate avanti dalle nostre sicurezze, ma tempi forti e lunghi di
incontro e convivenza, che possano darci la possibilità di vedere il mondo con
i loro occhi. “Il povero diviene nostro
vero formatore quando tentiamo di comprendere la realtà dal suo punto di vista
e facciamo nostre le sue priorità. I frutti non si lasciano attendere: lo
sguardo si concentra sull’essenziale; viviamo meglio, con meno; la fiducia e l’abbandono
alla provvidenza nelle mani del Padre divengono reali e concrete opzioni di
vita”(RF 176). Queste esperienze sono fondamentali nella formazione
iniziale, ma farebbero un enorme bene anche nella formazione permanente.
Certamente sarà anche molto importante saper lavorare la realtà familiare di
tanti in formazione proprio perché non perdano o rinneghino le loro radici, che
dovrebbe essere un contributo alla fraternità.
È
solo dopo aver ricevuto e assimilato il contributo che i poveri ci donano che diventiamo
capaci di avere una compassione autentica, rispettosa e operante per chi
soffre. Infatti, "La nostra
formazione, attraverso un processo di accompagnamento personalizzato, offre gli
strumenti necessari per renderci autentici uomini liberi, maturi affettivamente
e compassionevoli" (RF 76). Così, tutte le nostre missioni saranno
contrassegnate da una grande sensibilità verso chi soffre. Non possiamo essere
al mondo, cercando solo una vita comoda, circondati solo da persone ben curate,
chiedendo di soddisfare tutti i bisogni minimi, e talvolta anche di più di ciò
che è realmente necessario. "Lo
stesso Francesco, innamorato delle parole di Gesù, mette in guardia i suoi
fratelli dalla tentazione di ricoprire la vita nuda e semplice del Maestro e ci invita a vivere evangelicamente
e sine glossa" (RF
19). Se siamo veri cappuccini, non possiamo essere indifferenti ai fratelli che
soffrono nel nostro apostolato, saranno sempre loro i destinatari privilegiati
della nostra azione pastorale. "La
conversione consiste precisamente nel cambiare il nostro modo di guardare,
passando dall’indifferenza alla compassione " (RF 31).
*
itinerante
- “il modello di vita itinerante ci
radica in ciò che è fondamentale” (RF 8). Il missionario cappuccino vive
intensamente dove l'obbedienza lo ha posto, cercando di essere lì come un dono
totale, ma sempre pronto a partire. Non si appropria di nulla, nemmeno della
missione. "La centralità di Cristo
nella vita aiuta a comprendere la dimensione itinerante della missione "
(RF 113). Non è nostra caratteristica quella di non voler lasciare il luogo
dove siamo, o soffrire perché alcune delle nostre presenze devono essere consegnate.
*
capace di incontro - “precisamente,
il Vangelo – il libro che narra gli incontri di Gesù, la maggior parte con
poveri, malati ed esclusi – ci propone, come centro di vita, la capacità
dell’incontro” (RF 18). Il missionario cappuccino non può essere un uomo
chiuso in sé stesso, o in fuga dalle persone, tanto meno da nascondersi ai
bisognosi. Al contrario, favorisce l'incontro: non solo si lascia ritrovare, ma
esce anche a cercare i perduti.
*
esperti di comunione - “la forza
carismatica della nostra vocazione cappuccina, impegnata nella missione della
Chiesa, ci fa esperti di comunione grazie alla testimonianza delle relazioni”
(RF 121). Come siamo formati a saper accogliere il diverso, ad ascoltare, a
dialogare con umiltà, a trovare il bene nell'altro, a rispettare le
particolarità ... questo ci rende esperti nel generare comunione. Ogni
cappuccino deve essere abile nel mediare i conflitti, in grado di dialogare e
lavorare insieme ad altre chiese o altre religioni, coinvolgere non credenti, o
atei, o scienziati, o politici, o leader sociali in iniziative di bene comune
... senza paura di ottenere il meglio da ciascuno di essi. "È proprio della nostra missione la creazione
di spazi di ascolto e di dialogo tra fede e ragione, tra credenti e non
credenti, tra le diverse confessioni cristiane e le differenti religioni"
(RF 125).
*
fedele e creativo - “fedeltà e
creatività sono le chiavi per seguire più da vicino e amare più intensamente
Gesù” (RF 57). In un mondo che cambia, nell'incontro con culture diverse,
di fronte a situazioni completamente nuove, è fondamentale che il missionario
non sia un semplice ripetitore del passato, ma, avendo valori chiari, cerchi
creativamente modi nuovi e appropriati di proporli e di agire su di essi. La
riforma cappuccina ha saputo guardare Francesco e "ricreare nei nuovi contesti culturali le sue genuine intuizioni" (RF
57), e questo dobbiamo continuare a fare oggi. “Siamo chiamati alla fedeltà creativa e a trovare nelle diverse culture
il modo di testimoniare questi valori.” (RF 135).
*
propositivo
- "il Vangelo non si impone ma si
propone, e prende come punto di partenza il riconoscimento della verità che
abita nell’altro" (RF 41). Il nostro carisma ci conduce a
un'evangelizzazione rispettosa. Sebbene il missionario sia molto convinto dei
suoi valori, prima li presenta con la sua vita, poi cerca di riconoscere il
bene che già esiste dove si trova[5], e da lì con semplicità e
umiltà propone Gesù Cristo.
*
gratuito - "la gratuità sta nel
cuore del francescanesimo " (RF 62). Il missionario cappuccino è un
uomo che ha capito di dover dare gratuitamente ciò che ha già ricevuto e
continua a ricevere[6].
Non può sognare secondi fini in quello che fa. Tanto meno vivono in attesa del compenso
per il loro lavoro pastorale. La nostra riforma cappuccina è stata molto
insistente su questo. È certamente importante trovare modi per mantenersi, ma
senza dimenticare la Provvidenza e senza perdere la gratuità.
*
capaci di lavorare insieme - “Siamo
inviati dalla fraternità, e la nostra missione ha senso soltanto se ci
manteniamo in comunione tra di noi e con la Chiesa. La pastorale in fraternità
è il migliore antidoto contro l’attivismo e l’individualismo, e ci protegge dal
narcisismo apostolico”(RF 121). È molto importante che il missionario
sappia lavorare insieme e abbia vinto la tentazione di credersi l'unico
salvatore. Addestrato alla vita fraterna, deve viverla anche con i responsabili
delle comunità che è chiamato a servire, sviluppando sempre più ministerialità
per i laici, e lasciandosi aiutare sempre dai consigli pastorali ed economici,
e dalle commissioni. Anche nella missione va superata l'idea del frate che fa
tutto da solo.
*
non preoccupato del “successo” pastorale - “la fraternità e la missione sono la nostra ragione di essere, e non è
l’efficacia pastorale ma la qualità delle nostre relazioni ciò che ci definisce
carismaticamente e ci fa testimoni autentici del Vangelo” (RF 115). Per
questo i piani o le strutture pastorali non sono al di sopra delle persone. È
necessario essere consapevoli della tentazione di avere le ultime tecnologie
con la scusa di "servire meglio" quando queste cose ci allontanano
dal carisma. L'autentico missionario cappuccino cerca nella sua missione
pastorale di servire i suoi fratelli con umiltà senza interessarsi al “successo”, cioè senza preoccuparsi di
essere famoso o riconosciuto. Eredi di san Francesco sappiamo che “la vera gioia non consiste nel successo”
(RF 51), ma nell'identificarsi con Cristo, soprattutto con Cristo povero e
crocifisso. Non serve essere super efficaci e fare cose incredibili, se alla
prima critica perdiamo la pace.
Come riuscire a impregnare
i nostri formandi con tali caratteristiche
* iniziazione - molte volte la Ratio
insiste sul fatto che la nostra formazione deve essere impostata in modo
iniziatico e nei numeri 137, 138, 139, 140 e 141 cerca di spiegare brevemente
cosa significa. In relazione alla missione, questa iniziazione significa
trasformare concretamente il candidato che ci cerca in un missionario
cappuccino. Iniziare nella missione dei cappuccini è più che studiare alcuni
contenuti sulla cura pastorale e partecipare ad alcune attività con la gente. È
necessario che attraverso un programma completo, che parta dal nostro carisma
missionario, che tenga conto della realtà personale di ciascuno (doni e
limiti), gli faccia assumere in prima persona, teoricamente ed
esperienzialmente, tutto ciò che è veramente importante per essere un
missionario cappuccino. E alla fine di questo itinerario, mostra di aver
assimilato i nostri valori e sviluppato un autentico desiderio di darsi alla
missione di cui l'Ordine ha bisogno.
* sempre presente - perché la nostra
formazione sia integrale, la Ratio ci dice che le cinque dimensioni
(carismatica, umana, spirituale, intellettuale e missionario-pastorale) devono
essere presenti in tutte le tappe della formazione[7]. Ciò significa che sebbene
in una tappa l'accento possa essere più forte in uno di essi, in nessun caso
gli altri possono essere assenti o dimenticati. "Tutte le tappe della formazione devono averla
(la missione) nel proprio orizzonte" (RF 122). Anche il noviziato, che
molti pensavano fosse un anno senza cura pastorale, deve trovare il modo
appropriato per integrare questa dimensione, senza smettere di insistere un po’
di più su altre. Ecco perché la Ratio indica proposte specifiche per
ciascuna delle tappe.
* continuo e coerente - "un processo di iniziazione, continuo e
coerente, deve aiutarci a incarnare i nostri valori carismatici" (RF
122). Oltre alla necessità che la dimensione missionario-pastorale sia presente
in tutte le tappe, è anche essenziale che ci sia continuità in questa
formazione, anche se le esperienze sono diverse in ogni tappa, devono rispondere
a un progetto che le colleghi in modo coerente. Non basta avere un programma
per ogni fase, è importante che siano coerenti tra loro e che rispondano
all'obiettivo generale della formazione.
* progressivo - un altro aspetto su cui
la Ratio insiste molto è che di
fronte all'obiettivo finale che abbiamo - un frate che sia fraterno, minore,
contemplativo e non solo disponibile ma vibrante della missione, senza misurare
le difficoltà o imporre esigenze - dobbiamo stabilire degli obiettivi per
ciascuna delle tappe, ma sono concatenate in modo progressivo. È necessario
superare l'idea che la dimensione pastorale o missionaria di ogni tappa sia
qualcosa di spontaneo e di semplice accomodamento o la situazione del luogo in
cui ci si trova o la sensibilità del formatore di turno. Ancor meno, che è un
modo semplice per occupare i fine settimana dei formandi con attività esterne.
In questo modo, sebbene ci siano sempre attività pastorali in ogni anno, non ci
sarà una vera formazione alla missione come sopra indicato. La dimensione
missionario-pastorale va progettata e orientata secondo un itinerario di
crescita. In ogni tappa, o ogni anno, è necessario essere chiari sugli
obiettivi che si vogliono raggiungere, sapendo che nella tappa successiva si
dovrà fare un passo avanti, fino a raggiungere l'obiettivo finale. Infatti “al termine del processo della formazione
iniziale, i frati devono avere una sufficiente conoscenza del mondo nella sua
realtà locale e universale e acquisire gli strumenti necessari per fare un
discernimento pastorale nei diversi ambienti socio-culturali, facendo
attenzione alla dimensione ecumenica e del dialogo interreligioso”(RF 124).
* contenuto ed esperienza - “i valori carismatici si trasmettono attraverso esperienze e contenuti”
(RF 180). Poiché è iniziatica, la nostra formazione deve saper intrecciare
correttamente i contenuti che devono essere solidi e ben lavorati con
esperienze pratiche che permettano la reale assimilazione nella vita di quanto
appreso in teoria. "L’assimilazione
degli aspetti teorici influirà sulla profondità con la quale si vivono le
esperienze, e dall’autenticità di queste dipenderà il raggiungimento degli
obiettivi che ci siamo proposti" (RF 177). Cioè, pensando alla
missione, a un certo punto al formando deve essere insegnato, ad esempio, a
fare un piano pastorale cappuccino: quali sono le tecniche, cosa si dovrebbe
tenere in considerazione, quali sondaggi si dovrebbe fare, qual è il modo di
strutturalo ... tutti questi contenuti devono essere sviluppati, appresi e
sperimentati nella pratica. Lo stesso con tutti i temi legati alla nostra
missione: dai più semplici come le tecniche di ascolto, comunicazione e
predicazione, gestione dei conflitti ... alla missionologia, ecumenismo,
dialogo interreligioso, organizzazione economica della pastorale ... e questo
sempre con forti esperienze dove puoi mettere in pratica ciò che hai studiato.
Non basta pensare che questo verrà studiato negli istituti
filosofico-teologici, perché anche se lo fanno, non hanno la nostra visione né
i nostri obiettivi. Durante le nostre tappe formative, le esperienze pastorali
che verranno proposte devono essere preparate e accompagnate da uno studio
serio di ciò che vogliamo che i nostri formandi imparino, sviluppino e
assimilino in vista degli obiettivi che ci poniamo per questa dimensione.
Spesso si svolgono esperienze pastorali, senza che venga data alcuna
preparazione ai formandi, vengono inviati allo sbaraglio.
* accompagnato e valutato - un'altra insistenza
della Ratio è che tutto ciò che si fa
nelle tappe di formazione sia accompagnato dalla fraternità di formazione e
seriamente valutato per verificare ciò che è già assimilato e ciò che deve
ancora essere sottolineato di più. Anche questo è un bisogno urgente e
indispensabile nella dimensione missionario-pastorale. "Tutte le esperienze pastorali devono essere
accompagnate e valutate "(RF 123). I nostri formandi non possono
essere abbandonati nella cura pastorale, senza una direzione e senza qualcuno
con cui dialogare e orientarsi. Secondo gli obiettivi di ogni tappa, è
necessario dare l'istruzione teorica adeguata come abbiamo detto sopra, ma
anche accompagnare, mostrare, fare l'esperienza insieme, consentire l'adozione
delle iniziative pertinenti, pianificare attività, obiettivi e traguardi e
valutare, tra i formandi, con la comunità e con la fraternità, lo sviluppo
della missione e l'accoglienza di nuove indicazioni. È qui che il missionario
verrà plasmato con le caratteristiche che abbiamo presentato nei paragrafi
precedenti. Qui puoi scoprire se ha già la capacità di dialogo, apertura,
progettazione insieme... e può anche identificare e persino superare tendenze
come il protagonismo, l'attivismo, il narcisismo pastorale o apostolico,
l'autosufficienza, l'individualismo, la competitività che secondo la Ratio non devono far parte della nostra
vita pastorale[8].
* personalizzato - certamente i valori
cappuccini devono essere assimilati da tutti, ma poiché ogni formando è diverso,
anche il tempo e il modo di assimilazione possono essere diversi. In effetti,
il processo di iniziazione non avviene in modo massiccio, ma ognuno deve essere
accompagnato nel proprio processo di trasformazione. Ciò avviene anche in
relazione alla missione: "i progetti
formativi delle diverse circoscrizioni devono favorire la dimensione pastorale
per mezzo di itinerari diversificati che tengano presenti i doni e i carismi di
ciascun fratello" (RF 123). Senza perdere di vista il fatto che ciò
non significa che a causa dei doni personali che si hanno, si verrà dispensati
da alcuni valori cappuccini. Per questo le Fraternità insieme ai formatori sono
attente ad aiutare ogni formando a scoprire i doni personali che Dio li ha dato
per servire la gente, poiché “i doni non
sono per il nostro beneficio, ma piuttosto per gli altri.” (RF 62). Ciò
significa che tali talenti devono essere raffinati e purificati nel crogiolo
dei nostri valori e il formando deve essere aperto a questo, poiché il dono di
Dio usato senza criteri maturati nella fede può non essere un servizio ma una
forma mascherata di egoismo. Nella formazione, soprattutto con
l'accompagnamento personalizzato anche nella cura pastorale, si devono riconoscere
le tendenze al "narcisismo pastorale",
all'individualismo, all'autosufficienza, all'autoritarismo ... affinché si
possano dare le medicine adeguate e possano aiutare questi fratelli nella loro
conversione pastorale.
Indicazioni per
ogni tappa della dimensione missionario-pastorale
* Formazione permanente
191.Dimensione
missionaria-pastorale:
- evangelizzare con la vita e la
parola attraverso la testimonianza delle relazioni fraterne;
- collaborare negli impegni
pastorali della Chiesa, rispondendo alle necessità più urgenti;
- prendere coscienza
dell’importanza di accompagnare spiritualmente gli uomini e le donne di oggi.
* Fase vocazionale
221. Dimensione
missionaria-pastorale:
- se il candidato partecipa a
qualche attività pastorale, incoraggiarlo a continuare; in caso contrario,
suggerire un qualche impegno ecclesiale;
- far conoscere, in forma generale,
i servizi pastorali e apostolici che l’Ordine, la Provincia o la Custodia
hanno;
- iniziare alla lettura del
Vangelo, privilegiando i testi che presentano con maggiore chiarezza la
pedagogia pastorale di Gesù nell’annuncio del Regno di Dio.
* Postulato
240. Dimensione
missionaria-pastorale:
- consolidare, attraverso
l’accompagnamento, i criteri di fede per la vita apostolica;
- impegnarsi in una prima
esperienza di lavoro apostolico e di servizio ai poveri;
- crescere nella sensibilità
missionaria e sociale, prestando attenzione a leggere i segni dei tempi.
* Noviziato
264. Dimensione
missionaria-pastorale:
- scoprire nella nostra missione
carismatica una via per collaborare alla costruzione di un mondo più evangelico
e fraterno;
- avere degli incontri con fratelli
della Circoscrizione, che incarnano nella loro vita la missione di Gesù;
- vivere qualche attività di servizio
fra i poveri e i bisognosi.
* Post noviziato
284. Dimensione
missionaria-pastorale:
- imparare a programmare e valutare
in fraternità gli impegni pastorali;
- vivere esperienze di missione in
situazioni di frontiera;
- cercare l’equilibrio fra l’azione,
la vita spirituale, la vita fraterna e lo studio.
Si
tratta di indicazioni di base e generali che devono essere arricchite con le
caratteristiche di ciascuna circoscrizione. Si percepisce una progressiva
crescita in tali indicazioni dal semplice orientamento all'approccio ad alcune
cure pastorali, iniziando ad assumere in modo orientato alcune attività,
scoprendo in tali attività l'impronta del nostro carisma, e capacitando i
formandi di programmare e svolgere l'apostolato in fraternità. Questa
progressività deve rimanere ancora più chiara e palpabile anche nel proprio
itinerario, quando vengono specificatamente indicati i contenuti da studiare e
le esperienze che li accompagnano, in base agli obiettivi che verranno
formulati. Dobbiamo offrire i mezzi necessari per ottenere ciò che vogliamo.
Ogni
persona in formazione deve crescere nella
sensibilità missionaria: scoprire che c'è un mondo che invoca la nostra
azione; capire che il nostro modo di agire deve essere segnato dal nostro
carisma francescano-cappuccino che si arricchisce del dono personale di ogni
fratello senza perdere il vincolo di fraternità; mantenere sempre la tensione
di voler stare nelle periferie, nelle frontiere. Questa crescita deve essere
stimolata, e quando si percepisce che questo non sta accadendo, o al contrario,
sta diminuendo, è necessario intervenire, valutare e riprogrammare. Non si può
chiudere gli occhi quando si percepisci che un formando non ha una vibrazione
per la missione o non si lascia formare in questo ambito[9].
Per
questo sono molto importanti le indicazioni che ci fanno conoscere la pedagogia
di Gesù e le sue opzioni, per consolidare questi criteri di fede e di vita,
scoprire nella storia della missione dell'Ordine e della stessa circoscrizione
come si sono incarnati, e sensibili a i tempi attuali possono desiderare e
avere forti esperienze con i lebbrosi di oggi. È necessario che l'intero
itinerario sia ben pensato e realizzato, vogliamo che i nostri formandi siano
capaci alla fine del processo del dono totale di sé, poiché questo non è
naturale in noi, ma qualcosa di soprannaturale frutto di un cammino di
conversione e abbandono. "L’obiettivo
è quello di accompagnare e aiutare il candidato affinché, partendo dalla sua
vita concreta, con mezzi formativi adeguati, possa vivere un autentico cammino
di conversione, facendosi discepolo di Gesù." (RF 138).
Formati e inviati
Quando
parliamo di missione, dobbiamo intenderla in due prospettive complementari: la
missione "ad gentes" come
si diceva tradizionalmente, che sarebbe quella che implica l'uscita dal
territorio della propria circoscrizione o della propria nazione[10]. Questa missione è molto
importante per la Chiesa e per l'Ordine, con essa aiutiamo ad impiantare la
Chiesa e l'Ordine, o almeno l'impiantazione dell'Ordine, ed è un segno della
nostra vivacità. Tutte le circoscrizioni, anche quelle piccole o quelle in cui
diminuiscono le vocazioni, devono, comunque, inviare almeno qualche fratello.
Dovremmo pensare ad alcuni criteri, per esempio, che per ogni 5 o 10 professi
perpetui, almeno un fratello debba partire. Questo rivitalizza la
circoscrizione. Ecco perché è molto importante, durante tutto il cammino
iniziale, tenere sempre presente questo orizzonte e, a un certo punto, proporre
a tutti i formandi qualche forte esperienza di missione fuori, in modo che l '“ispirazione divina” (RB XII, 1) possa
toccare almeno alcuni fratelli.
L'altra
possibilità di missione è la nuova evangelizzazione. Le nostre Costituzioni
definiscono missione anche l'opera evangelizzatrice destinata a persone che
hanno abbandonato la fede o si sono allontanate dalla Chiesa[11]. Per questo i nostri
conventi devono essere tutti attenti a sviluppare una pastorale rivolta non
solo a chi già partecipa (certamente molto importante per sostenere la loro
fede), ma anche ad essere conventi in uscita. Anche i fratelli che non
lasceranno i loro territori per la missione, devono essere allo stesso modo
missionari. Non possiamo assistere passivamente al processo di
scristianizzazione, dobbiamo essere audaci, fedeli e creativi, per fare la
stessa cosa che fecero Francesco ei suoi primi frati. Per questo è fondamentale
che la nostra formazione riesca a risvegliare in tutti i nostri formandi il
desiderio della missione e dia loro gli strumenti necessari per realizzarla.
“Come Cappuccini continuiamo ad
essere inviati là dove nessuno desidera andare” (RF 72). È importante essere
preparati a questo, e farlo sempre a partire dal nostro carisma. Non solo in
territori di missione lontani, ma anche in periferie esistenziali che possono
essere molto vicine ai nostri conventi. Ci sono tanti "posti" dove nessuno vuole andare, e
purtroppo tanti posti da noi occupati dove tanti volevano essere. Non
litighiamo per essere dove vogliono essere gli altri, questa non è la nostra
vocazione.
L'attuazione
della Ratio porterà sicuramente il
nostro Ordine ad un rinnovamento importante soprattutto nella vita del nostro
carisma, anche in relazione alla missione. Non abbiamo paura di essere “prudentemente audaci”, siamo un Ordine
che ha lo spirito di essere una riforma e questo “è un atteggiamento di vita che fa parte della nostra identità
carismatica” (RF 73). Forse in qualcosa possiamo anche sbagliare e avremo
bisogno di valutare e ripensare, dobbiamo “accettando
i rischi che porta con sé il camminare verso un futuro non scritto” (RF
73).
Certamente
le nuove generazioni avviate a questo desiderio di essere autenticamente
cappuccini contribuiranno "a
rinnovare l'entusiasmo del nostro Ordine per il Regno di Dio e la vivacità che
ci ha sempre caratterizzato nel corso dei secoli".[12] Ma, anche ai fratelli che
sono nella nostra formazione permanente, la nuova Ratio ci offre un'opportunità unica per imparare con i discepoli di
Emmaus a "ricominciare sempre"
e ora con molte più ragioni, e "non dare mai per conclusa la nostra
formazione"(RF 182).
Fr
Mariosvaldo Florentino, ofmcap
Segreatario Generale per le Missioni
[1]“La riforma cappuccina
nasce con il profondo desiderio di ritornare negli eremi e nei luoghi appartati
che favoriscono l’incontro con Gesù povero e crocifisso, dove il silenzio si
trasforma in servizio e consolazione per gli appestati, e la contemplazione
diviene compassione” (RF69).
[2] “In particolare si osservi
quanto segue: a) i canditati, per la loro indole, devono essere idonei a vivere
la nostra vita evangelica in comunione fraterna.” Cost. 18,3.
[3] “Fraternità
e minorità sono i caratteri della nostra identità: essere fratelli di tutti
senza escludere nessuno; accogliere di preferenza i minori della nostra società” (RF 64).
[4] “Poi io udii la voce del
Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». Ed io risposi: «Eccomi,
manda me!».” Is 6,8
[5] “La nostra missione è
quella di scoprire tutto il bene che c’è intorno a noi per averne cura,
aiutarlo a crescere e condividerlo” (RF 71).
[6] Due volte la Ratio cita Mt 10,8 “Gratuitamente
avete ricevuto, gratuitamente date” RF 62; 71.
[7] “Il metodo integrativo
esige che tutte le dimensioni, con la loro rispettiva forza carismatica, siano
presenti in modo iniziatico e progressivo nelle diverse tappe del processo
formativo” RF 61.
[8] "Nei programmi di formazione accademica si deve insistere sulla necessità di una metodologia che favorisca dinamiche di gruppo che ci aiutino a pensare insieme, superando la competizione, l’autosufficienza e il narcisismo intellettuale, e a stabilire un dialogo interdisciplinare fra i diversi campi di conoscenze" (RF 110); "La fraternità pastorale è il miglior antidoto all'attivismo e all'individualismo e ci protegge dal narcisismo apostolico, dalle patologie emotive o dall'uso inappropriato del denaro" (RF 121); "la missione nasce da una relazione intima e affettiva con il Maestro vissuta in fraternità, che eviti il protagonismo o il narcisismo pastorale" (Allegato RF 1,28, D).
[9] “Accoglie con rispetto e
senza la paura di correggere e ammonire, ma respingendo energicamente i frati
le cui motivazioni non hanno niente a che vedere con lo spirito del Vangelo”
(RF 148).
[10] “riconosciamo la condizione
particolare di quei frati, comunemente chiamati missionari, che lasciano la
propria terra di origine, mandati a svolgere il loro ministero in contesti
socio-culturali differenti, in cui il Vangelo non è conosciuto o dove si richiede
il servizio alle giovani Chiese” Cost. 176,2
[11] “Allo stesso modo, riconosciamo la
particolare condizione missionaria dei frati inviati in ambienti che
necessitano di una nuova evangelizzazione perché la vita di interi gruppi non è
più informata dal Vangelo e molti battezzati hanno smarrito, in parte o
totalmente, il senso della fede.” Cost. 176,3
[12]R.
Genuin, Ringraziamo il Signore, 29.