Carissimi amici, giunga a ciascuno di voi il saluto francescano di pace e bene!
Mi chiamo Antonio Di Mauro, e sono un giovane frate cappuccino, che da circa un anni ho terminato la formazione iniziale. Ho 37 anni e appartengo alla provincia religiosa di Sant’Angelo e Padre Pio.Non vi nascondo la mia emozione nello scrivere questo
articolo, con il quale desidero condividere con voi quello che profondamente mi
ha spinto a partire per l’Africa.
Così, mentre con mano tremante riporto il mio pensiero, allo
stesso modo vengo raggiunto da quel entusiasmo missionario che mi porto nel
cuore sin dalla mia infanzia. Sì, perché questo sogno per la missione era ben
radicato già nel mio ambito familiare e, in modo del tutto speciale, fortemente
caratterizzato dalla figura di mia zia, suora missionaria, appartenente
all’Istituto delle Adoratrici del Preziosissimo Sangue di N. S. G. C.
Ricordo sempre con quanta ansia aspettavo il suo ritorno
dall’Africa per le ferie!
Era davvero una zia speciale... nessuno dei miei amici aveva
avuto un familiare in terra d’Africa. Questo mi faceva sentire un bambino
unico, diverso dagli altri!
Quell’entusiasmo, quindi, è cresciuto insieme alla mia
giovane età e mi ha spinto a compiere con gioia la scelta di vivere
un’esperienza missionaria, che compio nella fede e nell’amore con il quale
Cristo ha amato noi! Sono giunto a questo anche grazie all’ascolto delle
esperienze missionarie dei tanti frati missionari, attraverso i quali ho avuto
modo di conoscere l’opera di evangelizzazione di tanti confratelli che in
Africa hanno trascorso buona parte della loro vita. Sentire le loro
testimonianze è stato come ascoltare una musica dolce e soave, sulla quale ho
sintonizzato la mia prospettiva di vita!
È stata la missione stessa a sedurmi e a convincermi che
potevo intraprendere questa strada.
Nel corso della formazione, grazie alla disponibilità e
all’apertura dei superiori e dei formatori, ho avuto modo di alimentare questo
desiderio missionario; tante sono state le esperienze concrete di apostolato
missionario, sia come collaboratore dell’animazione missionaria, sia come
conoscenza diretta in Albania, dove i frati della provincia di Puglia hanno la
loro missione.
Questa vocazione missionaria ha trovato spazio anche nell’ambiente accademico, all’interno del quale ho presentato, come lavoro finale per il conseguimento del baccellierato in Sacra Teologia, una tesi dal titolo "La missione per e con i giovani".
In questo lavoro ho sviluppato il tema della missione dal punto di vista ecclesiale, richiamandone i dati teologici e quelli spirituali, arrivando a svilupparne il modo di ripensare la missione. Ho voluto poi evidenziare la loro incidenza nella grande famiglia francescana a cui appartengo, analizzando in primo luogo il modo in cui san Francesco d’Assisi intendeva la missione, fino a descrivere le modalità in cui oggi la famiglia francescana è coinvolta nel mondo come presenza e provocazione missionaria, vale a dire la modalità con il quale il carisma francescano tutt’oggi può essere a servizio dell’evangelizzazione e della promozione dei valori evangelici di fraternità, giustizia e pace nel mondo.
Questa desiderata esperienza, dunque, non è passata inavvertita e disattesa, ma, al contrario, è stata sempre incoraggiata e protetta.
In Ciad, infatti, ho avuto la grazia di vivere un tempo abbastanza intenso, anche a causa delle restrizioni dovute al COVID-19, nelle fraternità di Goré e Baibokoum, dove ho avuto modo di considerare tutta l’importanza del periodo vissuto qui, specialmente grazie alla preghiera, meditazione della Parola di Dio e dell’amicizia con Cristo, attraverso cui è stato possibile presentargli i desideri e le speranze, le gioie e le sofferenze. Tutto questo, infatti, mi è servito per non far soffocare la mia esperienza dalle esitazioni del mondo e dalle sue distrazioni.Questo periodo, dunque, è stato segnato, da parte mia, da un forte spirito di discernimento, cercando, così, di riconoscere i segni dei tempi e, in modo del tutto particolare, è stato attraversato fortemente da alcune parole che mia madre mi diceva quando eravamo seduti a tavola: «mangia quello che c’è nel piatto, perché c’è sempre un bambino che non ha cosa mangiare». Vivendo qui in Africa mi rendo conto di quanto sia ancora vera la sua voce.
Ho in mente, quindi, una sola parola che racchiude questo
spazio di tempo vissuto in Ciad: "speranza". Una parola che mi fa
vedere non solo la fame in sé intesa come denutrizione, ma che mi fa
individuare la causa derivante dalla pesante sofferenza economica e sociale.
Una fame, dunque, che è parte di un sistema strutturale, che imprigiona la
piena realizzazione della dignità umana.
Individuo nella speranza, allora, quella forza motrice che
scarcera la storia dalla fatalità del male, dello sperpero, dell’ingiustizia,
della guerra e che si fa voce di gente che grida al mondo intero di meritare
una vita migliore.
Una speranza, dunque, che traspare nei volti gioiosi dei
bambini quando percepiscono che c’è qualcuno che vuole giocare con loro.
Una speranza che nasce da una semplice stretta di mano che
dice: «coraggio, camminiamo insieme».
Una speranza che trova il suo vigore in uno scambio
interculturale e interreligioso, dove la differenza diventa ricchezza.
Una speranza che illumina chi, avendo vissuto e vivendo ancora l’amara e dura esperienza di una sofferenza dettata dall'egoismo, autore di morte, invita a cambiare rotta nella vicenda dell’umanità, denunciando tutte quelle vie d’esilio che si contrappongono alle vie dell’incontro, il disprezzo che soffoca il rispetto...
Una speranza che trova la sua vivacità nella pace in una
realtà in cui per sfamarsi gli uomini si spingono fino a scontrarsi,
dimenticando persino la propria umanità.
Così, mentre cerco di condividere con voi questo articolo,
la mia mente viene occupata da alcuni passaggi dell’enciclica "Laudato
Sii" di Papa Francesco, attraverso cui ci viene donato un nuovo percorso
di speranza: la relazione tra questioni ambientali, sociali, finanziari e
culturali, aspetti che, la maggior parte delle volte, sono separati.
Una relazione, dunque, capace di far fronte a questa società
che spesse volte si rivela assetata di beni materiali, di piaceri temporali e
di desiderio insaziabile di dominare si tutto il creato.
Oggi, più che mai, la crisi di speranza stordisce e ferisce
più facilmente le nuove generazioni che, specialmente in contesti
socio-culturali privi di certezze, di valori e di validi punti di riferimento,
si trovano a fronteggiarsi con difficoltà che appaiono superiori alle loro
forze e che, quindi, corrono il rischio di farsi incantare e sedurre dal
fascino della moderna cultura secolare. Ed è in questo contesto che è nostro
dovere sostenere con tutte le forze la speranza, i sogni e quel bisogno di
autenticità, di giustizia, di amore, di lavoro. Solo questo atteggiamento di
compartecipazione può essere balsamo di una nuova primavera per far fiorire
sane relazioni e profumare la nostra stessa vita di solidarietà e di amore.
Parlare e portare la propria esperienza agli altri, in modo da muovere i cuori
e le menti, e far germogliare fiducia nel futuro, nell’amore e nel rispetto
della vita.
Tornando alla mia esperienza nella Custodia del
Ciad-Centrafrica e giunto al termine della stessa, condivido con voi il frutto
del mio discernimento per quanto riguarda la vocazione missionaria.
Se è vero, infatti, che i metodi di vivere la missione oggi
si rivelano diversi, il desiderio di avanzare nella vocazione missionaria è
innegabile. Parlando con i superiori della mia Provincia e della Custodia, ho
espresso loro il desiderio di essere al servizio dell’evangelizzazione nella
Custodia del Ciad-Centrafrica per un periodo più prolungato; desiderio
corrisposto dagli stessi. Per questo processo di evangelizzazione, mi è stata
chiesta la disponibilità per lavorare come responsabile della pastorale dei
giovani, alla quale si affiancano anche alcuni impegni all’interno della
fraternità.
Un caro saluto a frate Antonio e a tutti i frati dell'amata Custodia del Ciad - RCA.
RispondiEliminaFrate Antonio Belpiede